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II.

L’indomani alla dieci Nana dormiva ancora. Abitava a boulevard Haussman, il secondo piano d’un casone nuovo che il proprietario appigionava «a donne sole» perchè ne rasciugassero i muri. Un ricco mercante di Mosca, venuto a passar un inverno a Parigi, l’aveva alloggiata là pagando sei mesi anticipati.

L’appartamento, troppo ampio per lei, non era mai su mobiliato interamente; vi era un lusso chiassoso, di cattivo gusto; mensole e seggiole dorate stonavano accanto a cianfrusaglie da rigattiere, tavolini di mogano e candelabri di zinco che volevano figurare per bronzi fiorentini.

Quell’appartamento rivelava la ragazza troppo presto abbandonata dal primo protettore ammodo, caduta in balìa di amanti ambigui, tutto un esordio difficile, fallito, impastoiato da rifiuti di credito e da minaccie d’espulsioni.

Nana dormiva supina, stringendo fra le braccia nude il guanciale in cui affondava il viso fatto pallido dal sonno.

La camera da letto e 1o spogliatoio erano le due sole stanze che un tapezziere del rione avesse allestite con cura. Un po” di luce scivolava sotto alle cortine, si discerneva il mobiglio in palissandro, le tappezzerie e le seggiole di braccato a fiorami azzurri su fondo grigio.

Ma, nel tepore madido di quella camera, immersa nel sonno Nana si destò in sussulto, come sorpresa di sentirsi daccanto un vuoto.

Guardò il secondo guanciale steso accanto al suo, che tra e trine mostrava l’impronta ancor calda d’una testa, e con mano incerta, intorpidita, compresse il bottone del campanello elettrico vicino al capezzale: