Pagina:Zola - Nana - Pavia - 1881.pdf/33


— 29 —


Si vedevano dorsi arrotondarsi, fremendo come se degli archi d’istrumento invisibili avessero strisciato sui muscoli, delle nuche che mostravano riccioli capricciosi, ondeggianti sotto a tepidi soffi vagabondi, venuti chi sa da quali labbra femminili.

Fauchery vedeva davanti a sè il collegiale, cui il fuoco amoroso pareva sollevare dalla seggiola.

Ebbe la curiosità di guardar il conte di Vandeuvres, pallidissimo, le labbra strette; il grosso Steiner, la cui faccia apoplettica era lì lì per scoppiare. Labordette, che, colla lente nell’orecchio, guardava col fare meravigliato d’un mercante di cavalli che ammiri una bella giumenta; Daguenet, le cui orecchie si facevano purpuree e tremolavano per voluttà.

Poi un istinto gli fe’ volger un’occhiata indietro e restò sorpreso di ciò che vide nel palco dei Muffat; dietro alla contessa, bianca e seria, il conte si rizzava a bocca aperta, la faccia chiazzata di macchie rossastre, mentre vicino a lui, nell’ombra, le torbide pupille del marchese di Chouard s’eran fatte due pupille da gatto, fosforescenti punteggiate d’oro.

Si soffocava, i capelli si facevan grevi sulle teste sudate. Da tre ore che tutta quella turba era lì, gli aliti avevan riscaldata l’aria e vi’ avevano diffuso un odore umano. Nel fiammeggiare del gas, il polverìo sospeso nell’atmosfera, si faceva più denso, immobile all’ingiro della lumiera, come una nebbia giallastra. Tutto quel pubblico barcollava, preso da vertigini, stanco ed eccitato, afferrato da quei desideri sonnacchiosi della mezzanotte che vengono sussurati in fondo alle alcove. E Nana, rimpetto a quel pubblico tramortito, a quelle mille e cinquecento persone, pigiate, affogate nella stanchezza e nell’infiacchimento nervoso d’una fine di spettacolo, restava lì vittoriosa con le sue carni di marmo, conscia di poter distruggere con la potenza del sesso tutta quella gente e non esserne offesa.

La commedia finì. Alle chiamate tuonanti di Vulcano, tutto l’Olimpo accorso, sfilava dinanzi agli amanti con degli oh! e degli uh! di meraviglia e di oscena allegria.

Giove diceva a Vulcano: Figlio mio, bisogna avere poco cervello per invitarci a veder questa scena.