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Tuttavia la serata passò bene.

Si era naturalmente venuti a parlare del teatro delle Varietà. Quella canaglia di Bordenave non creperebbe dunque mai? Le sue sconce malattie ricomparivano, e lo facevano talmente soffrire, che non si poteva più pigliarlo nemmeno con le molle. Il dì prima, durante la ripetizione, aveva sbraitato continuamente contro Simona. Eccone uno che gli artisti non rimpiangerebbero di certo!

Nana disse che se mai la richiedesse per una parte qua lunque, lo manderebbe a spasso bravamente. D’altronde non voleva più recitare; il teatro non valeva la sua vita domestica.

Fontan, che non c’entrava nella commedia nuova, nè in quella che si stava provando, esageravà egli pure la felicità d’avere la sua intera libertà, di passare le serate colla sua donnina, i piedi davanti al fuoco.

E gli altri davano in esclamazioni, chiamandoli forati fingendo d’invidiare la loro felicità.

Avevano tagliato la focaccia dell’Epifania. La fava era toccata alla Lerat, che la mise nel bicchiere di Bosc. Allora tutti gridarono: «Il re beve! Il re beve!»

Nana profittò di questo scoppio di allegria per andare a buttarsi al collo di Fontan, baciandolo, e sussurandogli dolci paroline all’orecchio. Ma Prullière, col sno riso affettato di bel giovinotto, gridò che quell’abbraccio non ci aveva a fare col gioco. Gigino dormiva su due seggiole. Insomma, ia brigata non si separò che verso un’ora, scambiandosi gli arrivedersi, attraverso le scale.

E per tre settimane, la vita dei due amanti, fu realmente deliziosa. A Nana pareva d’esser tornata ai primi tempi della sua carriera, quando il suo primo abito di seta le aveva cagionato una sì gran gioia.

Usciva poco, ostentando l’amore della solitudine e della semplicità. Un mattino, per tempo, mentre scendeva a comperare da sè il pesce, al mercato La Rochefoucaula, rimase colpita, nel trovarsi faccia a faccia con Francesco, Il suo antico parrucchiere.

Francesco era attillato coms al solito, con biancheria fina ed abito di taglio perfetto; essa si vergognò di e essere veduta