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Erano appena stati spenti i lumi della facciata del teatro. Il terrazzo era buio, freddo, e a quanto loro parve, vuoto.

Solo, nell’ombra, luccicava la sigaretta accesa d’un giovine, il quale se ne stava appoggiato alla balaustrata nell’angolo di destra.

Fauchery riconobbe Daguenet. Si strinsero la mano.

— Che diavolo fate voi qui, amico caro? chiese il giornalista. Come va che vi trovo cacciato negli angoli, voi che alle prime rappresentazioni non vi movete mai dalla vostra poltrona d’orchestra?

— Fumo, come vedete, rispose Daguenet.

Allora Fauchery, per metterlo in imbarazzo:

— Ebbene, che ne dite della nostra esordiente? La maltrattano per benino laggiù nei corritoi.

— Poh! fe’ Daguenet. Gente a cui essa non sì sarà voluta dare.

Questo fu tutto il suo giudizio sul talento di Nana.

La Faloise si sporgeva dal terrazzo guardando la strada.

Dirimpetto, le finestre d’un palazzo e quelle d’un club erano vivamente rischiarate; sulla via una densa folla di avventori era seduta al tavolini del caffè di Madrid.

Malgrado l’ora tarda, la gente era stipata; ne usciva continuamente di nuova del passaggio Juffroy; si camminava passo passo, costretti ad attendere cinque minuti prima di poter attraversare la strada, tanto era lunga la fila delle carrozze.

— Che movimento! che fracasso! ripeteva La Faloise, ancora sbalordito da questo Parigi che lo stupiva.

Ma una lunga scampanellata risuonò in quelle tenebre; il ridotto si fece deserto. Nei corritoi si rinnovarono gli urti e gli affollamenti di prima. Il telone era alzato, e la gente entrava tuttavia, destando il malumore di quanti erano già seduti. Ciascuno riprendeva il suo posto, col viso animato e rifattosi attento. La prima occhiata di La Faloise fa per Gaga; ma egli rimase attonito, vedendo il giovanotto alto, dai bei cappelli biondi, che al primo atto era nel palchetto di Lucia, seduto ora vicino a Gaga, con cui chiaccherava famigliarmente.