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giava, senza dar mai un indirizzo. Anzi, nel timore di essere seguita, ella si privava del piacere di venire a trovare la signora.

Tuttavia, quella mattina, la era corsa dalla zia, perchè c’erano delle novità. Il dì innanzi, alcuni creditori, il tappezziere, il carbonaio, la mercantezza in biancherie, si erano presentati, offerendo dilazioni, proponendo perfino una grossa somma ad imprestito alla signora, se la signora volesse ritornare nel suo appartamento e condursi da persona intelligente. La zia ripeté le parole di Zoé. C’era senza dubbio un signore lì sotto.

— Giammai! dichiarò Nana, ributtata. Ebbene! sono brava gente, costoro! credono forse ch’io sia da vendere per saldare i loro conti!... Vedi, preferirei morir di fame, piuttosto che tradire Fontan.

— Gli è quel che ho risposto, disse la Lerat, mia nipote ha troppo cuore!

Nana, tuttavia, fu molto indispattita nel sentire che si vendeva la Mignot, e che Labordette la comperava ad un prezzo ridicolo, per Carolina Héquet. Ciò le mise l’ira in corpo contro quella combriccola; delle vere baldracche, malgrado le loro pose. Ah! sì, perdinci, essa valeva più di tutte!

— Possono ben fare le fanfarone, conchiuse, il denaro non darà loro mai la vera felicità... E poi, vedi tu, zia, io non so nemmen più che tutta quella gente esista! Sono troppo felice... In quella madama Maloir entrava, con uno di quei cappelli strani, di cui lei sola trovava la forma. Fu una gioia di rivedersi. La Maloir-spiegò che le grandezze la intimidivano; adesso, di tempo in tempo, la ritornerebbe a fare la sua partita di bazzica.

Sì visitò una seconda volta l’abitazione; e nella cucina, in faccia alla donna di servizio che inaffiava il pollo, Nana parlò di economia, disse che una governante avrebbe costato troppo e che lei stessa voleva occuparsi della sua casa. Gigino guardava, con faccia beata, il girrarosto.

Ma si udì appunto uno scoppio di voci. Era Fontan con Bosc e Prullière; si poteva mettersi a tavola. La minestra