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L’uno ripeteva: Schifoso! schifoso! senza dar spiegazioni; l’altro rispondeva: Maravigliosa, marivigliosa, sdegnosi del pari d’ogni argomento.

La Faloise la trovava bella; arrischiò soltanto che farebbe bene a coltivare la sua voce. Allora Steiner, il quale non ascoltava più, parve svegliarsi di soprassalto. Conveniva aspettare, del resto. Forse tutto andrebbe a rotoli negli atti seguenti. Il pubblico s’era mostrato compiacente, ma non era ancor vinto di certo. Mignon giurava che la commedia non finirebbe, e siccome Fauchery e La Faloise lo lasciavano per risalire al ridotto, prese il braccio di Steiner e gli si accostò mormorandogli all’orecchio:

— Caro mio, vedrete il costume di mia moglie nel secondo atto. È d’un sconcio!

Di su, nella sala del ridotto, tre lumiere di cristallo fiammeggiavano splendidissime.

I due cugini ebbero un momento d’esitanza: la porta vetrata aperta, lasciava vedere, da un capo all’altro della galleria, un’ondata di teste che due correnti travolgevano in un fiotto perenne.

Si decisero a entrare.

Cinque o sei gruppi d’uomini, ciarlando forte e gesticolando, s’ostinavano a rimaner fermi, malgrado gli spintoni; gli altri camminavano in fila, girando sui tacchi che percuotevano l’impiantito incerato.

A destra ed a sinistra, fra le colonne di marmo screziato, delle donne, sedute su panche in velluto rosso, guardavano in attitudine stanca, il continuo ondeggiare della folla, illanguidite pel gran caldo; dietro di loro, negli alti specchi, si vedevano le treccie ricadenti nelle spalle.

In fondo, davanti alla credenza, un uomo panciuto beveva un bicchiere di sciroppo.

Ma Fauchery, che voleva respirare un po’ d’aria, uscì sulla terrazza.

La Faloise, il quale stava osservando dei ritratti d’attrici esposti in cornici che s’alternavano cogli specchi fra le colonne della sala, finì coll’andargli dietro.