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vevano ormai in una sorda smania di sapere. Ma il tedio lo addormiva sotto quella porta: per distrarsi si mise a calcolare il tempo che gli toccherebbe d’aspettare. Sabina doveva trovarsi verso le nove alla stazione; gli rimanevano quasi quattr’ore e mezza. Era provvisto di pazienza, non si sarebbe mosso più, trovando un certo fascino nel sognare che quella sua attesa nel buio sarebbe eterna.

Ad un tratto, la striscia di luce sparì.

Quel fatto semplicissimo fu per lui una catastrofe inattesa, qualche cosa di sgradevole, d’inquietante. Evidentemente, avevano spento il lume, stavano per dormire. Era ragionevole a quell’ora! Ma egli se ne stizzì, poiché quella finestra buia, non gli destava più nessun interesse. La guardò ancora per un quarto d’ora, poi se ne stancò, lasciò la porta, e fece alcuni passi sul marciapiede. Passeggiò fino alle cinque, andando, venendo, levando gli occhi di tempo in tempo. La finestra rimase spenta; tratto, tratto, ei si domandava se non avesse sognato di veder vagolare delle ombre, su quei vetri.

Una stanchezza immensa l’opprimeva, una scempiaggine da ebete nella quale dimenticava ciò che stava aspettando in quell’angolo di via, inciampando nel selciato, risvegliandosi di soprassalto, col gelido brivido d’un uomo che non sa più dove si trovi.

Nulla più valeva la pena di pigliarsi dei crucci. Poiché coloro dormivano, conveniva lasciarli dormire. A che pro’ immischiarsi nelle loro faccende? Faceva buio pesto; nessuno mai saprebbe nulla di tutto ciò. E allora tutto in lui, perfino la curiosità, si estinse, travolto in un desiderio di finirla, di cercare da qualche parte un sollievo. Il freddo aumentava, la via gli diventava insopportabile; due volte si allontanò, tornò addietro, strascicando i piedi, per riallontanarsi maggiormente. La era finita, non ci era più nulla; ridiscese fino al boulevard e non ritornò altro.

Fa una corsa tetra per le vie. Camminava lentamente, sempre con lo stesso passo, rasentando i muri. I suoi talloni battevano sonori sul sasso, non vedeva altro che la sua ombra girare, ora ingrandita, ora impicciolita, ad ogni becco di gas; ciò lo cullava, l’occupava meccanicamente. Più tardi,