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                   — A mezzanotte è Venere che passa....

Era sempre la stessa voce acre, ma ora solleticava talmente il pubblico, che a volte gli dava un lieve fremito. Nana rideva tuttavia, d’un riso che le rischiarava il rosso bocchino e metteva un raggio nei suoi occhioni, d’un celestrino chiarissimo. A certi versi un po’arrischiati, una bramosia le arricciava il nasino, le cui pinne rosse si agitavano, mentre una fiamma le passava sulle guancie. Continuava a dondolarsi, non sapendo far altro. Ed il pubblico non trovava più che quel dondolio fosse brutto; anzi, tutti gli uomini puntavanle addosso i loro binoccoli. Mentre Nana finiva la strofa, la voce le venne meno del tutto e capì che non potrebbe finire. Allora, senza mettersi in pena, diede una mossa d’anche che disegnò una rotondità sotto alla tunica sottile, mentre, col busto piegato, il petto indietro, stendeva le braccia. Scoppiarono gli applausi. Lei subito, s’era voltata, risalendo la scena, facendo vedere la nuca ove un’infinità di cappelli rossi le facevano quasi un vello di bestia. Gli applausi divennero frenetici. La fine dell’atto fu fredda. Vulcano voleva picchiare Venere; gli Dei tenevano consiglio e decidevano che farebbero un’inchiesta sulla terra prima di soddisfar i mariti beffati. Fu allora che Diana sorprendendo tenere parole fra Venere è Marte giurava, di non perderli di vista durante il viaggio.

V’era anche una scena in cui l’Amore, rappresentato da una monelluccia di dodici anni, rispondeva a tutte le domande:

— Sì, mamma.... No, mamma, con voce piagnucolosa e le dita nel naso.

Quindi Giove, colla severità d’un maestro di scuola incollerito, chiudeva Amore in uno stambugio oscuro e gli dava a coniugare venti volte il verbo amare.

Meglio gustato fa il finale, un coro che le masse e l’orchestra eseguirono brillantemente.