Pagina:Zola - Nana - Pavia - 1881.pdf/19


— 15 —


parve. Nana, altissima e molto in carne pei suoi diciott'anni, nella sua bianca tunica da Dea, i lunghi capelli biondi sciolti sulle spalle, scese verso la ribalta con placida disinvoltura sorridendo al pubblico e prese a cantar la sua aria:

                    Quando alla sera Venere gironza....

Non aveva finito il primo verso, che in platea tutti si guardarono. Era uno scherzo od una scommessa di Bordenave? Non si era mai udita voce più stonata e peggio educata. Il direttore diceva bene: era una cagna. E non sapeva nemmeno star in scena, spingeva avanti le mani, dondolando tutto il corpo in un modo che sulle prime venne trovato poco decente e meno grazioso.

Dalla platea sorgevano già degli oh! Si zittiva, quando si levò nella prima fila di poltrone una voce fina come quella di un galletto che muti penne, gridando convinta:

      — Molto chic!

Tatto il teatro guardò. Era il cherubino, il collegiale scappato dai banchi, coi suoi begli occhi sbarrati, la sua faccia bionda infiammata dalla vista di Nana. Quando vide tutti voltarsi a guardarlo, diventò rosso rosso per aver parlato così forte senza addarsene. Daguenet, il suo vicino l’esaminava sorridendo, il pubblico rideva, come disarmato, non pensando più a zittire, mentre i giovinetti in guanti bianchi, sedotti anch’essi dalle forme di Nana, andavano in brodo di giuggiole, ed applaudivano.

      — Bene, benissimo! brava!

Nana, pertanto, vedendo il pubblico ridere, si era messa ridere anche lei. L’allegria raddoppiò. Era strana, al postutto, quella bella ragazza. Il ridere le apriva un gioiello di pozzettina nel mento. Aspettava, punto impacciata, mettendosi tosto in dimestichezza col pubblico, sembrando dir ella stessa con l’ammiccare degli occhi che non aveva un quattrino di talento, ma che non importava punto, che qualcos’altro ce l’aveva. E dopo aver fatto al direttore on cenno che significava: Súv via, galantuomo! - cominciò la seconda strofa.