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sciolto, ondeggiante che diffondeva grato odore, ed ove gli sembrava di ritrovare un po’ della tepida vitalità di Nana.

Frattanto Zoè aveva portato i vestiti fradici in cucina, per farli asciugare al più presto, davanti ad un fuoco di sarmenti.

Allora Giorgio, sdraiato in una poltrona, ardì fare una confessione: — Senti mo’, disse, non mangi tu, stassera?... Io muoio di fame. Non ho pranzato.

Nana andò in collera, Oh! che bestia era stato di scappar da casa della mamma, a pancia vuota, per ruzzolar in una buca d’acqua. Ma anche lei aveva lo stomaco in fondo ai talloni. Bisognava mangiar, senz’ altro. Solamente si mangerebbe come si potrebbe. Improvvisarono allora, sopra un tavolino, tirato accanto al fuoco, il più comico dei desinari.

Zoè corse dal giardiniere, che aveva preparato una minestra di cavoli, pel caso la signora non desinasse ad Orleans; la signora aveva dimenticato di scrivergli che cosa dovesse apparecchiare. Per fortuna, la cantina eta ben fornita! Mangiarono dunque una minestra di cavoli con una fetta di lardo.

Poi Nana, frugando nella sua sacca da viaggio, trovò una quantità di cose, delle provviste che vi aveva cacciato per precauzione; un piccolo pasticcio di Strasburgo, un cartoccio di dolci, delle melarancie. E tutti e due divorarono come lupi, con l’appetito dei verti anni, da camerata che non fanno complimenti. Nana chiamava Giorgio: « Mia cara », le pareva più famigliare e più affettuoso. Alle frutta, per non disturbar Zoè, vnotarono, con lo stesso cucchiaio, alternativamente, un vaso di conserva trovato in cima ad un armadio.

— Ah! mia cara, disse Nana, respingendo il tavolino. Son dieci ànni che non ho desinato tanto bene!

Però, sì faceva tardi; voleva &imandar il piccino, per tema che si buscasse una sgridata. Lui, ripeteva che c’ era tempo.

D’altra parte i vestiti non erano asciutti. Zoè dichiarava che ci vorrebbe un’ altr’ ora almeno; e siccome dormiva in piedi, stanca del viaggio, la mandarono a letto. Allora, rimasero soli, nella casa silenziosa.