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Era una confusione, un intrecciamento di teste e di braccia che s’agitavano, gli uni sedendo e studiando di accomodarsi, altri ostinandosi a star in piedi per gettar attorno un’ultima occhiata. Il grido: seduti! seduti! uscì violento dalle profondità buie della platea. Un fremito era corso: finalmente la si conoscerebbe quella famosa Nanà, di cui Parigi s’occupava da otto giorni.

A poco a poco, però, le conversazioni cadevano, illanguidite in un mormorio di voci sommesse. Ed, in mezzo a quel bisbiglio languido, spirante, a quei sospiri morenti, l’orchestra rompeva in noticine briose d’un valzer, il cui ritmo plebeo pareva una risata biricchina. Il pubblico, sollecitato, sorrideva già. Ma la claque, dai primi sedili della platea, applaudì con furore.

Il sipario si alzava.

— Tò, disse La Faloise il quale ciarlava sempre, c’è un signore con Lucia.

Guardava il proscenio di destra, ove Carolina e Lucia sedevano sul davanti. Nel fondo si scorgeva la faccia rispettabile della madre di Carolina ed il profilo d’un giovinotto alto, dalla bella capigliatura bionda, dal vestir attillato.

— Ma guarda, ripeteva La Faloise con insistenza, c’è un signore,

Fauchery sì decise a puntar il binoccolo sul proscenio. Ma sì rivolse bentosto.

— Oh! E' Labordette, mormorò con voce noncurante, come se la presenza di quel signore dovesse esser per tutti la cosa più ovvia ed indifferente,

Dietro di loro gridarono: Silenzio.

Dovettero tacere. In quel punto la sala era colpita da immobilità, un tappeto di teste ritto ed attente saliva dall’orchestra al loggione.

Il primo atto della Bionda Venere, seguiva nell’Olimpo, un Olimpo di cartone, con nubi per quinte, ed a destra il trono di Giove. Venivano primi Iride e Ganimede, aiutati da uno stormo di servi celesti che cantavano un coro, preparando i sedili pel consiglio degli Dei.

Di nuovo gli applausi solitari della claque scattarono: il pubblico, cui la cosa giungeva nuova, aspettava.