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Bordenave parve scontento di quella fuga. — Restate dunque, cara mia, non importa, disse. È Sua - Altezza. Via, non fate la bimba.

E siccome essa ricusava di comparire, ancora scossa, però.

già ridente, soggiunse con voce burbera e insieme paterna:

— Dio buono! Questi signori sanno benissimo come è fatta una donna! Non vi mangeranno.

— Ma, non è ben sicura la cosa, disse argutamente il principe.

Tutti prorupperò in risa esagerate, per far la corte all’augusto personaggio. Il motto era squisito, assolutamente parigino, a quel che asseriva Bordenave. Nana non rispondeva più, la tenda si moveva, probabilmente essa si decideva a comparire. Allora il conte Muffat, le guancie infiammate, esaminò il camerino.

Era una stanza quadrata, bassa di soffitto, tappezzata interamente di una stoffa color nocciola chiaro. Una cortina dell’istessa stoffa sorretta da una verga metallica, formava in fondo una specie di gabinetto. Due finestroni davano sul cortile, a tre metri al più da un muro sgretolato, contro il quale nel buio della notte, i vetri gettavano dei quadrati gialli. Un grande specchio faceva riscontro ad una toeletta di marmo bianco, coperta da una profusione di boccette e di vasetti di cristallo per gli olii, le essenze e le polveri.

Il conte, accostatosi allo specchio, si vide molto acceso; la fronte cosparsa di finissime goccie di sudore: chinò gli occhi, venne davanti alla toeletta dove il bacino pieno d’acqua insaponata, i piccoli utensili d’avorio sparsi qua e là, le spugne umide, parvero assorbirlo per un momento.

Era lo stesso senso di vertigine che lo aveva invaso durante “la sua prima visita a Nana, al Boulevard Haussmann.

Sotto i suoi piedi, sentiva cedere il morbido tappeto del camerino: i becchi di gas che ardevano vicino allo specchio, e sulla toeletta gli mettevano alle tempie dei sibili di “fiamma.

— Per un momento, temendo di venir meno in quell’odore di

donna che ritrovava più caldo, aumentato del decuplo, sotto

il basso soffitto sedette sull’orlo del canapè trapuntato,- fra.