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un calcio nel posteriore. Ma il principe aveva sorriso, contento e solleticato d’aver udito quella parolaccia, covando «collo sguardo la donnina che se ne infischiava del rispetto dovuto a Sua Altezza. Lei rideva sfrontatamente.

Tuttavia, Bordenave indusse il principe a seguirlo.

Il conte Maffat, tutto in sudore, s’era tolto il cappello:

quello che gli dava specialmente noia, era l’afa, il caldo soffocante, denso di quell’atmosfera, cve si respirava un odore acuto, quell’odore delle quinte, col puzzo del gas, della colla degli scenarii, il sudiciume dei cantoni bui e delle biancherie men che pulite delle figuranti.

L’afa era ancor maggiore nell’andito; colà il profumo dell’acque odorose, dei saponi, l’aroma acre degli aceti di toeletta, che scendevano dai camerini ci confondevano col puzzo degli aliti pestiferi.

Passando, il conte alzò la testa, gettò ano sguardo su pel vano della seala, sorpreso dall’improvvisa onde di luce, e di calore che gli pioveva sulla nuca.

C’era là in alto un rumore di catinelle, delle risa, delle chiamate, un continuo sbattacchiar di porte da cui sfuggivano degli odori di donna, il muschio dei belletti ed il profumo forte e ruvido delle fulve capigliature.

Egli non si fermò, affrettando il passo, fuggendo quasi e recando seco a fior di pelle il brivido di quell’ardente visione d’un mondo a lui ignoto.

— Che ne dite, eh? È curioso a vedersi un teatro, diceva il marchese di Chouard, coll’aria soddisfatta d’un uomo che gì ritrova in casa sua.

Ma Bordenave era giunto finalmente al camerino di Nana in fondo al corritoio. Girò placidamente la maniglia e tirandosi indietro:

— Se Vostra Altezza si degna d’entrare...

5’udì un grido di donna sorpresa e si vide Nana, nuda fino alla cintura, scappar dietro ina tenda, mentre la camerista, intenta ad asciugarla, rimaneva con la salvietta per aria.

— Oh! la è stapida d’entrar così! gridava Nana sata:

Non entrate! Vedete pure che non si può!