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scinandosi dietro Fauchery e protestando di non voler perdere la sinfonia.
Questa smania del pubblico irritò Lucia Stewart. Che razza di villani eran mai tutti costoro che urtavano e spingevano in tal modo le donne! e volle rimaner l’ultima, con Carolina Héquèt e sua madre.
Il vestibolo era rimasto vuoto; in fondo il boulevard continuava a rumoreggiare.
— Pazienza ci f osse sempre da divertirsi ai loro spettacoli, ripeteva Lucia salendo la scala.
Nella platea, La Faloise e Fauchery, in piedi davanti la loro poltrona, s’eran rimessi a guardare.
L’aula risplendeva. Alte fiammelle di gas facevano brillare il gran lampadario di un fuoco giallo e color di rosa che pareva spandesse una pioggia di luce su tutta la platea. Il velluto granata dei sedili si chiazzava di rosso, le dorature rilucevano, e gli adornamenti di color verde pallido ne smorzavano l’effetto. I lumi della ribalta, rialzati, inondavano di luce i prosceni e il telone, i cui panneggiamenti pesanti di color porpora e d’oro arieggiavano il fasto d’un palazzo incantato, fasto che faceva a pugni colla cornice scrostata, in cui i crepacci lasciavano vedere il gesso sotto le dorature.
Faceva già caldo. I suonatori raccolti davanti i loro leggii accordavano gli strumenti, e i trilli leggeri del flauto, i sospiri repressi del corno, le note tenute del violoncello, traversavano lo spazio frammezzo al grande brulichio di tutta quella folla pigiata. Tutti parlavano, si urtavano, si facevan largo, si mettevano a posto; e la marea pei corridoi era sì forte, che da ogni porta pareva uscisse un getto continuo di gente.
Eran dei segni, dei richiami, dei fruscii di stoffa, una sfilata di vesti e di acconciature, frammezzate dal nero di una giubba o di un soprabito mascolino.
Tuttavia le file delle poltrone si popolavano a poco a poco; qua un abbigliamento chiaro spiccava, là una testa aristocratica s’abbassava facendo luccicare i gioielli adornanti l’altissima acconciatura.
Da un palco sporgeva una spalla nuda e rotonda di una