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volgendo vivamente il capo, ogni volta che la Bron ridiscendeva con delle risposte.

Aveva appunto in quel momento scagliato una lettera ad

un giovine, che s’era affrettato ad aprirla sotto il becco di gas nel vestibolo, ed aveva leggermente impallidito, trovandovi quella classica frase, tante volte riletta allo stesso posto: «Impossibile stasera, diletto mio: sono impegnata.»

La Faloise stava su una delle seggiole, in fondo, fra la tavola e la stufa; sembrava deciso a passar la serata colà, ir-.

requieto però, ritirando le lunghe gambe, perchè tutta una portata di gattini neri gli si sbizzarriva d’intorno, mentre la qgatta, seduta sulle zampe di dietro, lo guardava fisso co’ suoi occhi gialli.

— To’, siete voi, signorina Simona! che cosa volete? domandò la custode.

Simona la pregò di chiamar fuori la Faloise, ma la Bron non potè soddisfarla subito.

Essa teneva nel sottoscala, in una specie di armadio fondo,

um bettolino in cui i figuranti scendevano a bere, durante i riposi: e siccome in quel momento c’erano lì cinque o sei diavolacci, ancor vestiti da buli della Palla Nera, arsi di sete e frettolosi, così la degna custode, perdeva alquanto la testa. Nell’armadio ardeva un becco di gas: vi si vedeva una tavola coperta di lamine di stagno, delle assa con bottiglie di liquori incominciate. Quando si apriva l’uscio di quel buco da ripor carbone, un soffio violento ne usciva che si confondeva col fetore di grasso bruciato dello stambugio e «col profumo sottile dei mazzi di fiori giacenti sulla tavola.

— E così, riprese la custode quando ebbe servito i figuranti, gli è quel morettino laggiù, che volete?

— — Ma no: non fate sciocchezze! disse Simona. Gli è quel magro accanto alla stufa, di cui la vostra gatta fiuta i calzoni.

’E condusse la Faloise nell’atrio, monire gli altri signori i rassegnavano, soffocando, la gola serrata, e i figuranti be“vevano lungo gli scalini, dandosi dei pugni con l’allegria rivialmente chiassosa e rauca dei beodi.

In alto, sul palcoscenico, Bordenave strepitava coi macchi-