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il paradiso delle signore


Il Mouret aveva alzata la testa, e diede di nuovo un colpo sul ginocchio dell’amico, ripetendo col riso d’uno che non si vergogna punto del mestiere che lo fa d’oro:

— Merciaio, proprio merciaio!... Te ne rammenti? io non ci capivo nulla in quei loro amminnicoli, per quanto in fondo in fondo non abbia mai creduto d’essere piú bestia degli altri. Quand’ebbi presa la licenza, tanto per contentare la famiglia, sarei potuto anch’io diventare benissimo o avvocato o medico come i miei compagni; ma quei mestieri mi fecero paura; sono in troppi a morire di fame... E allora, gettai alle ortiche la mia pelle d’asino, senza rimpianto veh!, e mi buttai a capofitto negli affari.

Il Vallagnosc sorrideva un po’ impicciato; alla fine mormorò:

— Eh! sicuro... la licenza liceale non ti deve esser molto utile per vendere tele...

— Basta — rispose allegramente Mouret — basta che non mi dia noia... E tu lo sai, quando s’è fatta la sciocchezza di ficcarsi quei bastoni tra le gambe, non è poi facile correre. Si cammina come tartarughe, mentre gli altri, quelli che sono sciolti, volano come il vento.

Poi, accorgendosi che l’amico pareva turbato, gli prese la mano, e seguitò:

— Via! via! non lo dico per angustiarti; ma devi confessare che i tuoi diplomi non t’hanno dato nulla di quanto desideravi tu... Sai che uno dei miei impiegati, il capo delle sete, quest’anno guadagnerà piú di dodicimila franchi? S’intende che è un giovanotto che ha la testa a segno; ma insomma..., non va piú in là dell’ortografia e delle prime quattro operazioni... Gli impiegati ordinari, da me, si beccano tremila o


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