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mise a dimostrare come qualmente gli uomini non capissero nulla, e come, per conseguenza, non ci fosse bisogno d’andare spifferando a loro ogni cosa.

— Il signor De Boves, il signor De Vallagnosc — annunziò il servitore.

Si meravigliarono tutti.

La stessa signora De Boves non aspettava suo marito, il quale baciò la mano della signora Desforges che aveva conosciuta da ragazza. Era un bell’uomo; portava baffi e pizzo, e aveva quell’aspetto da militare e da gentiluomo che piaceva alle Tuileries. Si tirò subito da parte, perché il suo compagno, giovinotto d’un pallore aristocratico, potesse anch’egli salutare la padrona di casa. Ma subito che la conversazione ricominciò, si alzarono due gridi leggieri:

— To’, Paolo!

— Guarda! Ottavio!

Il Mouret e il Vallagnosc si strinsero la mano.

— Vi conoscete dunque? — chiese tutta sorpresa la signora Desforges.

Si conoscevano di sicuro! Erano cresciuti insieme nel collegio di Plassans; e proprio per un caso non s’erano imbattuti prima lí da lei.

E cosí, sempre per la mano, passarono scherzando nel salottino, mentre il servitore portava il tè, in un servizio cinese su un vassoio d’argento, e lo posava accanto alla signora Desforges sopra un tavolino di marmo con un sottile orlo di rame.

Le signore si strinsero insieme, discorrendo a voce piú alta, tutte attente alle parole che s’incrociavano; e il De Boves, dritto dietro di loro, si chinava ogni poco per dir la sua, con galanteria d’impiegato superiore, bell’uomo. La sala,


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