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Ma arrivò il registro, e la signora Aurelia ritornò a Dionisia. L’impressione, per dir vero, non poteva essere buona. Costei era, sí, pulita nella sua vestuccia di lana nera, ma questo non significava nulla, perché c’era l’uso di passar «l’uniforme», un vestito di seta nera eguale per tutte: il male era che Dionisia pareva troppo gracile e aveva il viso triste; senza pretendere che tutte le ragazze addette alla vendita fossero occhi di sole, le volevano simpatiche. Intanto, sotto gli sguardi di quelle donne e di quei signori che la studiavano e la pesavano come una giumenta contrattata al mercato dei contadini, Dionisia non sapeva piú in che mondo si fosse.

— Come vi chiamate? — chiese la direttrice, con la penna in mano, pronta a scrivere, sull’angolo di un banco.

— Dionisia Baudu, signora.

— Quanti anni avete?

— Venti e quattro mesi.

E osando levar gli occhi sul Mouret, su quel signore che trovava dappertutto, e la cui presenza la turbava, ripeté:

— Non pare, ma sono molto robusta, io.

Sorrisero tutti. Il Bourdoncle si guardava le unghie in atto d’impazienza. Quelle parole furono accolte da un silenzio che prometteva male.

— In che negozio siete stata, a Parigi? — domandò la direttrice.

— Ma... signora, arrivo ora da Valognes!

Peggio che mai. Il Paradiso delle signore voleva, di solito, che le addette alla vendita fossero state prima almeno un anno nei piccoli negozi della città. Dionisia aveva perduta la speranza: e se non fosse stato per i ragazzi bisognevoli di lei per campare, se ne sarebbe andata,


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