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zola

un ricco negoziante di Angers, chinò la testa alla sgridata, avendo una paura sola, nella sua vita d’ozio, di trascuraggine e di piaceri, d’essere richiamato in provincia dal padre.

Da allora le osservazioni fioccarono; sulla galleria di Via della Michodière si scaricò la tempesta: nella sezione delle stoffe, un commesso, di quelli ch’eran da poco nella Casa e vi dormivano, era tornato di fuori a mezzanotte sonata:

in quella delle mercerie, il secondo commesso era stato trovato nei sotterranei che fumava una sigaretta. Ma nella sezione dei guanti imperversò piú terribile la bufera, a rovesciarsi sul capo d’uno dei pochi parigini ch’erano nel Paradiso: il bel Mignot, come lo chiamavano, bastardo d’una maestra d’arpa, andato a finir là non si sa come. Il suo delitto era d’aver fatto scandalo nel refettorio, lagnandosi del vitto. Si facevano tre tavolate, una alle nove e mezzo, la seconda alle dieci e mezzo, la terza alle undici e mezzo, ed egli voleva spiegare che all’ultima, dov’era lui, toccavano sempre gli avanzi delle precedenti; roba intrugliata e rimpasticciata.

— Come! il vitto non è buono? — domandò il Mouret con un viso ingenuo, aprendo finalmente bocca.

Non passava al cuoco giornalmente che un franco e mezzo a testa: il cuoco, terribile alverniate, pur trovava il modo d’empirsi le tasche; e il vitto era davvero detestabile. Ma il Bourdoncle si strinse nelle spalle: un cuoco che doveva pensare a quattrocento colazioni e a quattrocento desinari, sebbene in tre volte, non poteva perdere il tempo coi manicaretti!

— Non importa!

- riprese il padrone affabilmente. — Voglio che tutti i nostri impiegati


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