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Gli mancava un braccio; ma egli se la sbrigava come se li avesse tutt’e due; l’andavano, anzi, a vedere per curiosità quando riscontrava l’incasso: i fogli di banca, il danaro, scorrevano del pari rapidamente nella sua mano sinistra, la sola che gli restava. Figlio d’un esattore di Chablis, era venuto a Parigi a tenere i libri da un negoziante di vino; poi, in via Cuvier, aveva sposata la figlia del suo portinaio, un sartucolo alsaziano, e da quel giorno era rimasto sottomesso alla moglie che gl’incuteva rispetto, perché aveva tutti i requisiti della commerciante. Lei, alle manifatture, metteva da parte piú di diecimila franchi, e lui aveva soltanto quei cinquemila dello stipendio. E la sua deferenza per una donna che gli portava in casa ogni anno quel gruzzolo, s’irraggiava anche sul figliuolo, perché era figliuolo di lei.

— Come? — mormorò. — Alberto ha sbagliato? Allora, come faceva sempre, il Mouret rientrò in scena per farvi la parte del re clemente. Quando il Bourdoncle aveva minacciato, provvedeva lui alla propria popolarità.

— Una cosa da nulla! — rispose. — Caro Lhomme, bisognerebbe che questo sventato di Alberto pigliasse esempio dal babbo.

Poi, mutando discorso, e sempre piú affabilmente:

— E quel concerto, ieri l’altro?... Avevate un posto buono?

Un po’ di rosso colorò le gote pallide del vecchio cassiere. Non aveva che un vizio, la musica; un vizio segreto che appagava da sé solo, al teatro, ai concerti: la sera, per quanto gli mancasse un braccio, sonava il corno, con un certo


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