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il paradiso delle signore


mai fermo in un luogo e che le dava molto da fare e da pensare, tutti dicevano: «la dinastia dei Lhomme». Ma il Mouret non volle far lui la strapazzata al giovinotto: gli seccava di compromettere la propria dignità in un mestiere da gendarme; un po’ per gusto, un po’ per furberia, gli piaceva di serbare un contegno da Nume benigno. E toccò leggermente del gomito il Bourdoncle, l’uomo senza macchia, l’uomo cifra, che di consueto egli adoperava per le partacce.

— Signor Alberto, — disse costui severamente — siamo alle solite, avete preso male un altro indirizzo; l’involto è tornato indietro... cosí non si va.

Il cassiere credé doversi difendere, e chiamò a testimone Giuseppe, il garzone che aveva fatto l’involto. Anch’egli era della dinastia dei Lhomme, perché fratello di latte d’Alberto, ed aveva ottenuto quel posto grazie all’autorità della signora Aurelia.

Siccome il giovane gli voleva far dire che dello sbaglio aveva colpa la cliente, Giuseppe cominciò a balbettare e a tirarsi quei pochi peli di barba che aveva, combattuto tra la coscienza di vecchio soldato e la gratitudine per i protettori.

— Non tirate in ballo Giuseppe! — disse alla fine il Bourdoncle — e smettete di rispondere... Buon per voi, che abbiamo dei riguardi a vostra madre.

- Ma in quel punto il Lhomme accorse. Dalla sua cassa, ch’era accanto all’uscio, vedeva quella del figliuolo nella sezione dei guanti. Già tutto bianco, imbolsito dalla vita sedentaria, aveva un aspetto cascante, senza espressione, quasi consunto pel riflesso del denaro che non finiva mai di contare.


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