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zola

olezzo squisito si spandeva intorno; le signore vi bagnavano, nel passare, i loro fazzoletti.

— Ecco fatto! — disse la Marty, quando si fu comprata una bottega intiera di colonie, ciprie e cosmetici. — Sono con voi! Andiamo a cercare della signora De Boves.

Ma sul pianerottolo dello scalone di mezzo la roba giapponese le fermò da capo. Dal giorno che il Mouret s’era divertito a far vendere in quello stesso posto gingilli da nulla, senza prevedere, nemmen lui, l’enorme favore del pubblico, la sezione s’era svolta e ingrandita. Poche sezioni erano nate cosí modestamente: ora ostentava vecchi bronzi, vecchi avori, vecchie lacche, facendo per molte migliaia di franchi d’affari all’anno, e frugando tutto l’Estremo Oriente, dove dei viaggiatori penetravano apposta nei palazzi e nei templi. Delle sezioni, del resto, ne nascevano sempre; due nuove n’erano state messe in dicembre, per nascondere i vuoti fatti dalla morta stagione d’inverno, libri e balocchi; e l’una e l’altra eran certo destinate a crescere a dismisura e uccidere altri negozianti del vicinato. In quattro anni la sezione giapponese s’era acquistata tutta la clientela artistica di Parigi.

Per quanto la Desforges si fosse proposta, nel suo rancore, di non comprar nulla, quella volta cedette anche lei alla tentazione d’un avorio di squisita fattura:

— Mandatemelo a casa — disse lesta lesta, come stizzita della sua debolezza. — Novanta franchi, non è vero?

E vedendo le Marty madre e figlia assorte nella scelta di certe porcellane da poco prezzo, disse loro, portando via con sé la Guibal:

— Ci ritroveremo nella sala di lettura... Sono


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