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le scommesse se ne risentirono, e si ricominciò ad arrischiare su lei vino d’Argenteuil e fritture.

Dionisia era entrata nella galleria della biancheria per andare ai fazzoletti che erano in fondo. Il bianco continuava: bianco di cotone, di madapolam, di bazin, di «picchè»; bianco di filo, di mussolina, di tarlatana; poi venivan le tele, in enormi pilastri, costrutti a forza di pezze alternate come fossero pietre, tele forti, tele fini, di tutte le altezze, bianche o gregge, di lino puro, imbiancate sui prati; e poi ancora altre sezioni per ogni sorta di biancheria; biancheria da casa, biancheria da tavola, biancheria da cucina, lenzuoli, federe, tovaglioli d’ogni specie, asciugamani, grembiali, canovacci. I saluti continuavano; tutti si tiravan da parte al passare di Dionisia; il Baugé era accorso alle tele per sorriderle come alla buona regina del magazzino. Finalmente dopo le coperte, ch’empivano di bianche bandiere una sala intera, giunse ai fazzoletti che, ingegnosamente disposti, facevan stupire la folla. Erano bianche colonne, piramidi bianche, castelli bianchi, tutti di fazzoletti, di lino, di batista, di tela d’Irlanda, di seta della Cina, con le cifre, coi ricami, con la trina, con gli orli traforati, e figure tessute, una vera città di mattoni bianchi, d’infinita varietà, intravista in un miraggio su un candido cielo orientale.

— Un’altra dozzina? — domandò Dionisia al fratello. — Come sono?

— Guarda, come questo — rispose Gianni mostrando un fazzoletto.

Tanto lui che Beppino non le si staccavano dalle gonnelle, stringendosi a lei come quando erano arrivati a Parigi stanchi del viaggio. Quei grandi magazzini dove essa era come in casa sua,


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