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il paradiso delle signore

inauguravano quel giorno, altre fattesi troppo importanti avevano dovuto sdoppiarsi, per agevolare la vendita; e in quel continuo accrescersi degli affari, gl’impiegati con la nuova stagione erano saliti al numero di tremilaquarantacinque.

Le signore restavano sorprese, piú che dal resto, dal prodigioso spettacolo della grande esposizione della biancheria. Intorno a loro v’era da primo l’atrio, tutto a cristalli, col pavimento a mosaico, dove le mostre a prezzi bassi trattenevano la folla avida. Si aprivano quindi le gallerie, piene di luce accecante, come deserti di neve, come ghiacciai scintillanti al sole. Il bianco delle vetrine esterne si ravvivava, in un’immensa fila, ardendo da un capo all’altro con le fiamme bianche d’un incendio divoratore. Null’altro che bianco, tutto il bianco di tutte le sezioni, un’orgia di bianco, una stella bianca che da principio faceva male agli occhi, i quali in quel candore unico non potevano distinguere i particolari. Presto per altro ci si avvezzavano; a sinistra, la galleria Monsigny protendeva monti di tele e cotoni, rocce bianche di lenzuoli, asciugamani, fazzoletti; e la galleria Michodière, a destra, occupata dalla merceria, dai berretti e dalle lane, esponeva edifici bianchi, di bottoni di madreperla, una gran decorazione fatta tutta di calze bianche, una sala intiera coperta di lana bianca, attraversata in lontananza da un raggio di sole. Ma principalmente splendeva la galleria di mezzo, con i nastri e le cravatte, i guanti e le sete. I banchi non si vedevan piú sotto il bianco delle sete, dei nastri, dei guanti e delle cravatte. Attorno alle colonnette di ferro si alzavano sbuffi di mussolina bianca, stretti di tanto in tanto da pezzuole bianche. Le scale era-


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