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Semplici vetture di piazza eran frammiste alle carrozze particolari, i cocchieri aspettavano tra le ruote; i cavalli nitrivano, scotendo i morsi luccicanti al sole. Le file si aprivano di continuo tra le chiamate dei garzoni e il serrarsi delle bestie che si movevano da sé; ed altri legni venivano continuamente a porsi in riga. I pedoni passavano con corse spaventate da una parte all’altra; e i marciapiedi formicolavano di gente nella via larga e dritta, che si stendeva e si perdeva lontana. Tra le case bianche saliva il rumore; il fiume umano passava sotto l’anima diffusa di Parigi, un soffio dolce e immenso di cui si sentiva la gigantesca carezza.

Davanti a una vetrina, la De Boves, accompagnata dalla sua Bianca, guardava con la Guibal dei vestiti bell’e tagliati. — Guardate, guardate quei vestiti di tela a diciannove franchi e settantacinque! — Nelle scatole quadre i vestiti, legati con un nastrino, erano ripiegati in modo da mostrare soltanto le guarnizioni, ricamate di rosso e celeste; e nell’angolo d’ogni scatola c’era un’incisione che mostrava il vestito come doveva esser fatto, portato da una signora con l’aria principesca.

— Dio mio! è roba che val poco! — mormorò la Guibal, — Si rompono subito, basta toccarli!

Dacché il De Boves era inchiodato su una poltrona dalla gotta, eran diventate amiche intime. La moglie sopportava l’amante, piacendole piú che la cosa accadesse lí in casa; cosí almeno ci guadagnava qualche soldo, che il marito si lasciava rubare, avendo bisogno anche lui di un po’ di tolleranza.

— Entriamo dunque — disse la Guibal. —


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