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saici: una ghirlanda di fiori rossi e azzurri alternati con quadrati di marmo dove erano i nomi delle merci, intorno intorno, cingeva il negozio. Poi il supporto del primo piano era a mattoni smaltati e sorreggeva i cristalli dei finestroni sino alla cornice fatta con gli scudi dorati delle città della Francia e con ornati di terracotta, lo smalto dei quali ripeteva i colori chiari del supporto. Finalmente, in cima, la facciata esultava nei mosaici e nelle porcellane, con tinte piú calde; lo zinco delle docce era lavorato e dorato, e un popolo di statue, le grandi città industriali e commerciali, levavano nel cielo i loro profili sottili. I curiosi stupivano principalmente della porta di mezzo, alta come un arco di trionfo, decorata con profusione di mosaici, porcellane, terrecotte, e sormontata da un gruppo allegorico di cui raggiavano le dorature fresche; la Donna adornata e baciata da una folla volante e ridente di Amorini.

Verso le due, le guardie dovevano già far muovere la gente ferma, e sorvegliare la fila delle carrozze. Il palazzo era costruito, il tempio alla pazzia della moda terminato: dominava e copriva un intero quartiere con l’ombra sua. La piaga lasciatagli nel fianco dalla rovina della casaccia del Bourras era già cosí ben guarita, che si sarebbe invano cercato il suo antico posto: le quattro facciate correvano lungo le quattro vie, senza nessuna interruzione, nel loro superbo isolamento. E pareva che il Paradiso, dopo essersi tanto ingrandito, vergognandosi e avendo uggia del quartiere nero dov’era nato modestamente e che aveva poi assassinato, gli avesse voltato le spalle per lasciare dietro a sé il fango delle vie strette, e presentare la faccia sua di


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