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il paradiso delle signore

gli occhi fissi dinanzi al monumento trionfale, a quei vetri lucidi dietro i quali passavano e ripassavano i milioni. Gli occhi le si velarono, invasi lentamente dalle tenebre, spalancati, mentre continuavano a guardare, pieni di lacrime grosse.

Un’altra volta tutti i commercianti rovinati del quartiere accompagnarono il carro; i Vanpouilles, lividi per le scadenze del dicembre, pagate con uno sforzo supremo ch’era impossibile ripetere; il Bédoré s’appoggiava su un bastone, tormentato da tali pensieri che gli aggravavano la malattia di stomaco. Il Deslignières aveva avuto un accidente; il Piot ed il Rivoire camminavano zitti, guardando in terra, come bell’e spacciati. E nessuno osava chiedere degli assenti, il Quinette, la Tatin, altri ancora che dalla mattina alla sera si sommergevano e scomparivano nel fiotto dei disastri: senza contare il Robineau ch’era sempre a letto con la gamba rotta. Ma soprattutto eran guardati curiosamente i commercianti cui la rovina pendeva sul capo, il Grognet, la Chadeuil, il Lacassagne, e il Naud calzolaio, che già sentivano l’ansietà del male che li doveva spazzar via, alla volta loro. Dietro il carro veniva il Baudu con lo stesso passo del bue stordito da un colpo di mazza, con cui aveva accompagnata la figliuola, e in fondo alla prima carrozza di lutto si vedevano luccicare gli occhi del Bourras, di sotto la selva dei suoi sopraccigli e dei capelli bianchi come la neve.

Dionisia ebbe un grande dolore. Da quindici giorni era affranta da pensieri e fatiche. Aveva dovuto mettere Beppino in collegio, e Gianni la faceva correre, tanto innamorato della nipote del pasticcere, che aveva supplicato la sorella di


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