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cortesie, ma si sentiva disarmata ora ch’egli pativa per lei. Questo affanno lo rendeva migliore. Quando lei lo vedeva tormentato dalla sua impotenza, e lo vedeva espiare duramente, il dispregio per la donna, le sembrava abbastanza punito.

Fin da quel giorno Dionisia ottenne dal Mouret quanto volle che le promettesse nel caso che il Baudu e il Bourras cedessero. Passò qualche settimana: ella andava a veder lo zio quasi tutti i giorni, alla sfuggita, portandogli il dolce sorriso, il coraggio, per rallegrare il negozio tetro. La zia soprattutto le dava pensiero, perché, dalla morte di Genoveffa in poi, era rimasta assorta in uno stupore che faceva male a vederlo. Pareva che la vita l’abbandonasse d’ora in ora, e quando le domandavano che aveva, rispondeva meravigliata che non soffriva, ch’era soltanto come presa dal sonno. Nel quartiere tutti crollavano il capo, e dicevano che la povera signora non avrebbe pianto a lungo la figliuola.

Un giorno Dionisia usciva di casa Baudu, quando, sul punto d’entrare in Piazza Gaillon, sentí un urlo acuto. La folla accorreva, presa da quel terrore e da quella pietà che sommuove a un tratto la strada. Un omnibus, di quelli che vanno dalla Bastiglia a Batignolles, era passato sopra un uomo allo sbocco di Via Nuova di Sant’Agostino, davanti alla Fontana. Il cocchiere ritto a cassetta frenava con un moto concitato i cavalli che s’impennavano; e bestemmiava:

— Dio santo! Dio santo!... Bisogna stare attenti!

L’omnibus s’era fermato. La folla circondava il ferito; per caso c’era lí una guardia. Il cocchiere sempre ritto, invocando la testimonianza


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