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nella fossa comune il cadavere del negozio antico, che con i suoi resti imputriditi, fetidi, diventava la vergogna delle strade, piene di sole, della nuova Parigi. No, no! non sentiva nessun rimorso; non faceva se non ciò che volevano i tempi; e meglio di lui, lo sapeva lei che amava la vita, che aveva la smania dei grandi affari conclusi nella piena luce della pubblicità. Non sapendo che rispondere, Dionisia lo stette per un bel po’ a sentire, e se n’andò con tutta l’anima sossopra.

Quella notte non chiuse occhio; un’insonnia piena di paurose visioni la faceva voltare e rivoltare sotto le coperte. Le pareva d’essere piccina piccina, e dava in un pianto dirotto, in fondo al suo giardino di Valognes, mentre guardava gli uccelli mangiarsi i ragni e i ragni mangiarsi le mosche. Ma dunque era vera quella necessità della morte che ingrassa il mondo, quella battaglia per l’esistenza che faceva nascere gli esseri sul carnaio dell’eterna distruzione?

Si rivedeva poi davanti alla fossa dove avevan calata Genoveffa; rivedeva lo zio e la zia, soli in fondo al salotto buio. Nel silenzio profondo un rumore sordo di rovina traversava l’aria morta: era la casa del Bourras che sprofondava, come minata da una piena. Poi una nuova rovina, e poi un’altra, e poi un’altra: i Robineau, i Bédoré, i Vanpouille, a mano a mano scricchiolavano e si sfasciavano; il commercio minuto del quartiere di San Rocco si struggeva sotto un piccone invisibile, con gl’improvvisi rumori d’una carretta che si scarica. Allora un’immensa pietà tornava a scuoterla. Dio mio! quanti dolori! quante famiglie in pianto! quanti vecchi gittati sul lastrico! quanti spaventosi drammi di rovi-


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