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il paradiso delle signore

arrivati tutti, perché arrossiva al solo pensiero che, volere o no, avrebbe dovuto passare in mezzo a tutti quegli uomini. Intanto per sfuggire alle occhiate si mise a fare adagio adagio il giro della piazza. Quando l’ebbe compiuto, trovò dinanzi al magazzino un giovinotto alto, livido e dinoccolato, che da un quarto d’ora pareva aspettasse, come lei, d’entrare.

— Signorina, disse alla fine, e gli tremava la voce — dica un po’: lei è addetta alla vendita nel Paradiso?

Dionisia si turbò a sentirsi volgere la parola da un giovinotto che non conosceva, e non seppe lí per lí rispondere nulla.

— Si tratta, vede, — continuò l’altro imbrogliandosi sempre piú — che io vorrei tentare d’esservi ammesso, e le volevo domandare come si fa.

Era timido come lei, e osava parlarle soltanto perché s’era accorto ch’ella tremava come lui.

— Volentieri, s’immagini! — rispose Dionisia — ma io ne so quanto lei; son qui anch’io per presentarmi.

— Ah! benissimo! — disse l’altro sconcertato.

E diventarono tutt’e due rossi rossi, trovandosi, timidi com’erano, in faccia l’uno all’altra, commossi dalla fraterna somiglianza dei casi loro, e non osando nondimeno augurarsi il buon successo. Poi, non riescendo a dirsi piú nulla e imbarazzandosi sempre piú, si separarono goffamente, e ricominciarono ad aspettare, ciascuno per conto suo, lontani quattro o cinque passi.

I commessi continuavano ad arrivare: Dionisia ne sentiva gli scherzi quando le passavano accanto gettandole un’occhiata di traverso. Sec-


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