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e un grosso mazzo di rose bianche coprivan la bara; una bara stretta da ragazzina, posata nell’andito buio della casa, a pari del marciapiede, in modo che i legni avevan già schizzato di fango il tappeto. Tutto il vecchio quartiere stillava umidità, col suo odore di muffa, con la continua calca sul lastrico motoso.

Dionisia era lí fin dalle nove per tener compagnia alla zia. Ma, mentre l’accompagnamento stava per moversi, la Baudu, che aveva smesso di piangere con gli occhi arsi di lacrime, la pregò di andare anche lei a vegliare sullo zio che, col suo muto accasciamento e istupidito dal dolore, le dava a pensare. La strada era piena di gente: i piccoli commercianti del quartiere volevan dimostrare ai Baudu la loro simpatia; e v’era in ciò quasi una dimostrazione ostile al Paradiso delle signore, cui davan la colpa della lenta agonia di Genoveffa.

Tutte le vittime del mostro eran lí: il Bédoré con la sorella, cappellai in Via Gaillon, i fratelli Vanpouilles pellicciai, il Deslignières chincagliere, il Piot e il Rivoire negozianti di mobili; perfino la Tatin, quella della biancheria, e il Quinette, guantaio, che da un pezzo eran stati costretti a fallire, s’eran fatti un dovere di venire l’una da Batignolles e l’altro dalla Bastiglia, dove s’eran messi a lavorare in negozi d’altri. Aspettando il carro che tardava dell’altro, tutta quella gente vestita di nero, con i piedi nel fango, dava occhiate d’odio al Paradiso che con le vetrine lucide e allegre sembrava loro un insulto, in faccia al Vecchio Elbeuf, di cui i parati funebri e i ceri rattristavano l’altra parte della strada. Qualche commesso curioso s’affacciava dietro i cristalli, ma il colosso non si moveva


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