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il paradiso delle signore


Quando Dionisia giunse al Vecchio Elbeuf, la Baudu era sola: stava immobile dietro la cassa, col volto scarno e pallido, dinanzi al vuoto e al freddo della bottega. Non avevan piú nemmeno un commesso, e la serva spolverava lei gli scafa mezzo servizio. Un buio gelido cadeva dal sof fitto; passavano ore e ore senza che un cliente venisse a turbare quella tetraggine, e le merci non rimosse si guastavano sempre piú pel salnitro dei muri.

— Che è stato? — domandò subito Dionisia — Genoveffa sta peggio?

La Baudu non ebbe fiato di rispondere: gli occhi le si empirono di lacrime; poi balbettò:

— Non lo so; non mi dicono nulla a me...

È finita! è bell’e finita!...

E guardava intorno il tetro negozio, come se si fosse accorta che la sua figliuola e la sua casa morivano insieme. I sessantamila franchi ricavati dalla villa di Rambouillet erano stati in meno di due anni ingoiati nel baratro della concorrenza. Per combattere col Paradiso, che vendeva ora anche panni da uomo, velluti da caccia, livree, il Baudu aveva speso tutto il suo. All’ultimo era stato vinto e domato, dalle felpe e flanelle del rivale, ch’erano un assortimento quale non mai altri. A poco a poco i debiti eran cresciuti; come ultimo aiuto aveva ipotecata la vecchia casa in Via della Michodière, dove il Finet aveva, tanti anni prima, fondato il negozio: non era ormai che un affare di giorni; tutto crollava, tutto se n’andava in polvere, come un monumento barbaro e cadente che il vento a mano a mano si porti via.

— Lo zio è su, — riprese ella, con voce sof-


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