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vano per la forza della volontà che aveva avuta. Questa, sí, che aveva messo il piede sul capo del padrone e li vendicava tutti, traendo da lui ben altro che promesse! Era giunta alla fine colei che faceva un po’ rispettare i poveri diavoli! Quando passava col suo volto gentile e ostinato, con la sua aria dolce e invincibile, i commessi le sorridevano, ne erano fieri; l’avrebbero volentieri mostrata al pubblico. Dionisia n’era lieta, e si lasciava avvolgere da quella simpatia sempre crescente. Come era possibile? Si rivedeva quand’era entrata nel magazzino miseramente vestita, spersa, spaventata, tra le ruote della terribile macchina; le era sembrato, per un pezzo, di non esser nulla, d’essere appena un chicco di miglio sotto una macina enorme; ed ora l’anima di tutto era lei, lei sola importava, lei sola poteva con una parola accelerare o rallentare il colosso che le stava sotto i piedini. Eppure non l’aveva mica voluta tanta potenza! s’era soltanto presentata senza pensieri nascosti, con l’unico incantesimo della dolcezza. Qualche volta si meravigliava ella stessa di trovarsi cosí sovrana, e n’era inquieta: perché mai le obbedivano tutti? Non era bella, e non era nemmeno cattiva! Ma poi sorrideva col cuore in pace, non avendo in sé che bontà e ragione, un amore della verità e della logica che faceva la sua forza.

Una delle piú grandi gioie di Dionisia fu di poter giovare a Paolina, col favore di cui godeva. Paolina era incinta, e aveva una gran paura addosso perché in quindici giorni avevan dovuto andarsene due ragazze nel settimo mese di gravidanza. La Direzione non tollerava certe cose; la maternità era soppressa come un imbarazzo e un’indecenza. Il matrimonio, alla peg-


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