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il paradiso delle signore

della fortuna; la nomina a direttrice ne aveva compiuta la vittoria. Se si seguitava a chiacchierare per quella rabbia delle lingue che infuria in ogni compagnia d’uomini e di donne, gl’inchini profondi fino a terra. Margherita, divenuta aiuto nelle «confezioni», non la finiva piú con gli elogi; perfino Clara avea piegato il capo, costretta a rispettare una fortuna di cui si sentiva incapace. Ma il trionfo di Dionisia era anche piú intero su gli uomini; sul Jouve, che non le parlava piú se non ripiegato su se stesso, su l’Hutin, che sentiva il terreno mancargli sotto i piedi, sul Bourdoncle, ridotto a non saper piú che fare contro lei. Quando l’aveva vista uscire dalla Direzione, sorridente e tranquilla, e quando, il giorno dopo, il direttore aveva voluto dal Consiglio la nuova sezione, s’era inchinato preso da un sacro terrore per le donne. Aveva sempre ceduto cosí dinanzi al Mouret, riconoscendolo padrone e signore, anche quando gli pareva non piú aiutato dal suo ingegno, o che cedesse stupidamente al cuor suo. La donna era piú forte, ed egli s’aspettava d’esser trascinato nella rovina.

Dionisia intanto trionfava con calma e con grazia. Contenta di quel rispetto, ci voleva vedere un’affettuosa simpatia per ciò che aveva dovuto soffrire da principio, ed una ricompensa del suo lungo coraggio. Per questo, con sorridente allegrezza accoglieva anche le piú piccole prove d’amicizia; e si fece cosí voler bene da molti, tanto era dolce e benevola, sempre pronta a rispondere con l’affetto all’affetto. Non mostrò invincibile repugnanza che per Clara, perché aveva saputo che aveva fatto quanto aveva detto, ed una sera s’era portata con sé il Colom-


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