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volpe argentata, sembrava uno svelto profilo di donna senza testa che sotto la pioggia corresse a una festa, nell’ignoto delle tenebre di Parigi.

Dionisia, cedendo all’allettamento, s’era fatta sull’uscio, senza curarsi delle gocciole che la bagnavano rimbalzandole addosso. Il Paradiso delle signore, a quell’ora tarda, col suo splendore da fornace, la conquistava. Nella grande città, nera e muta sotto la pioggia, sembrava un faro, che unico ne conservasse la luce e la vita. Dionisia andava fantasticando del suo avvenire; desiderava lavoro, per tirare su i ragazzi: ed altre cose ancora, senza sapere né che né come, cose lontane che la facevan tremare di desiderio e di timore. Ripensò a quella donna morta nei fondamenti, ed ebbe paura; le parve che i lumi gemessero sangue; ma subito il candore delle trine la calmò, ed una speranza, una certezza di pace gioconda le saliva al cuore, mentre il polviscolo dell’acqua le rinfrescava le mani e calmava in lei la febbre del viaggio.

— Guarda il Bourras! — disse una voce dietro le sue spalle.

Si chinò innanzi, e vide il negoziante della mattina, immobile in capo alla strada, davanti la vetrina dove anch’essa aveva ammirata quella ingegnosa mostra di mazze e di ombrelli. Il vecchione dalla testa di profeta s’era chetamente inoltrato fin là, nell’ombra, per empiersi gli occhi di quell’apparato trionfale. Non sentiva neppure, tanto era afflitto, l’acqua che gli pioveva sul capo scoperto e che gli scorreva giú dai capelli bianchi.

— È una sciocchezza!, piglierà un malanno! — soggiunse la voce.

Allora, voltandosi, Dionisia si accorse che ave-


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