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zola

no ombra... Dei prati con attorno le siepi piú alte di me, e, dentro, cavalli e vacche... c’è un flumicello, e l’acqua in un posto, che, me lo rammento bene, sotto la macchia è freschissima.

— Come da noi! come da noi! — esclamava il Deloche tutto contento. — Non si vede che dell’erba; tutti si chiudono il suo pezzo di terra con olmi e biancospini, e ci si sta come in casa sua. Tutto verde! e che verde! A Parigi non ce l’hanno mica!... Quanto chiasso ho fatto io in fondo alla stradicciola che porta al mulino!

E a voce commossa, restavano con gli occhi fissi e smarriti sui vetri lucenti pel sole. Da quella luce accecante si alzava dinanzi a loro una visione: prati infiniti, il Cotentin bagnato dall’alito dell’oceano, tinto di vapore luminoso che temperava in sfumature l’orizzonte con un grigio delicato da acquarello. E laggiú, sotto l’enorme ossatura di ferro, nella sala delle sete, la vendita rumoreggiava nel fremito della macchina: tutto il magazzino vibrava nello scalpiccio della folla, nella furia dei commessi, nella vita di quel le ventimila persone che vi si premevano. Loro due, lasciandosi trasportare dai propri sogni, sentendo quel profondo e cupo clamore che faceva fremere i tetti, credevano ascoltare il vento che passasse sull’erbe e scotesse i grandi alberi.

— Mio Dio! ma perché — mormorò il Deloche — perché, signorina, non siete un po’ piú buona con me?... Vi voglio tanto bene, io!

Aveva le lacrime agli occhi; e, volendolo essa interrompere con un gesto, continuò in fretta:

— No, lasciatemele dire un’altra volta queste cose... Si starebbe tanto bene insieme! Due che son delle stesse parti han sempre di che discorrere!


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