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il paradiso delle signore

n’era un altro di eguale grandezza, cui si giungeva per mezzo d’una scala di ferro.

Il Deloche stava lí a discorrere un po’ appoggiandosi con una spalla, nel continuo abbandono del suo gran corpo rotto dalla stanchezza. L’acqua circolava misteriosamente, e lo zinco ne vibrava.

Per quanto il silenzio fosse profondo, li intorno, Dionisia si voltava spesso inquieta, perché le era parso di veder passare un’ombra sui muri dipinti di giallo chiaro. Ma presto la finestra li attirava, ci si appoggiavano coi gomiti, si dimenticavano di tutto in chiacchiere allegre, in ricordi innumerevoli dei loro villaggi. Sotto, si stendeva l’immensa invetriata della galleria centrale, lago di cristallo chiuso dai tetti lontani come da coste rocciose. E piú in là non vedevano se non il cielo, un pezzo di cielo che specchiava nell’acqua dormiente dei vetri il volo delle nuvole e i dolci azzurri.

Quel giorno, per l’appunto, il Deloche parlava di Valognes.

— Avevo sei anni, quando la mamma mi portava in un calessino al mercato della città. Ci sono tredici chilometri; bisognava partire da Briquebec alle cinque... Come è bello li da noi! ci siete stata mai?

— Sí, sí! — rispondeva lentamente Dionisia con gli occhi fissi su un punto lontano. — Ci sono stata una volta, ma ero piccina piccina... Certe strade con l’erba da tutt’e due le parti, non è vero?... e ogni tanto, dei montoni a due a due, che si tiran dietro la fune...

Si chetava, e poi sorridendo:

— Noi invece abbiamo delle strade diritte diritte per delle leghe, con degli alberi che fan-


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