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Era un cantuccio sperso nel vasto mondo dove si agitava il popolo del Paradiso. Vi si arrivava per cento scale ed anditi.

I laboratori stavano nelle soffitte, in una fila di stanze basse, rischiarate da finestroni aperti nello zinco del tetto, con niente altro di mobilia che lunghe tavole ed enormi stufe di ferro fuso.

Le ragazze della biancheria, delle trine, dei vestiti, dei ricami, vivevano, estate e inverno, in un caldo soffocante, in mezzo all’odore speciale della roba: bisognava costeggiare tutto il fabbricato, svoltare a sinistra dopo il laboratorio dei vestiti, salire cinque scalini, prima di giungere a quell’angolo del corridoio.

Le rare signore che un commesso accompagnava qualche volta lassú per ordinarsi qualche cosa, ripigliavano fiato, stanche, spaurite, parendo loro di aver girato intorno a se stesse per ore intere e di essere lontane cento miglia dalla strada.

Non era la prima volta che Dionisia trovava il Deloche ad aspettarla, accanto alla finestra. Nella sua qualità di aiuto, ella doveva spesso recarsi al laboratorio dove non si facevano che modelli e accomodature: ogni tanto le conveniva salir lassú, per dare degli ordini.

Il Deloche la stava ad aspettare, inventava un pretesto, le andava dietro dietro; poi fingeva di restar sorpreso quando s’imbatteva in lei, davanti all’uscio del laboratorio.

Dionisia aveva finito col riderci; erano quasi appuntamenti accettati. Il corridoio andava lungo il serbatoio dell’acqua, un immenso quadrato che conteneva sessantamila litri; e sul tetto ce


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