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suo impero, farlo cosí grande, che forse lei gli si sarebbe data per ammirazione e paura.

Nei sotterranei cominciava col fermarsi davanti all’apparecchio per calar giú la roba. Era sempre in Via Nuova di Sant’Agostino; ma l’avevan dovuto ingrandire, e ora pareva il letto d’un fiume dove il continuo fiotto delle mercanzie scorresse con gran frastuono d’acque.

La roba giungeva da ogni parte del mondo: file di carri arrivavano da tutte le stazioni; non si aveva mai posa nello scaricare: e i pacchi erano inghiottiti sotterra, dal magazzino insaziabile.

Guardava quel torrente, e pensava ch’egli era uno dei padroni della pubblica ricchezza, con in mano le sorti di un’industria francese, e non poteva comprare il bacio d’una delle sue ragazze!

Poi, andava all’ufficio degli arrivi, che occupava ora i sotterranei lungo la Via Monsigny. Venti tavole in fila nella pallida luce che scendeva dall’apertura sul marciapiede; e un intiero popolo di commessi a votare le casse, riscontrare le mercanzie, metterci i prezzi. Il rumore dell’apparecchio vicino non cessava mai, e dominava le voci.

Là i capi lo fermavano perché sciogliesse difficoltà, confermasse comandi.

Quel fondo di cantina si empiva dello splendore dei rasi, del candore delle tele, d’un ammucchiamento prodigioso di merci; pellicce aecanto a trine, oggetti parigini accanto a stoffe dell’Oriente.

Passava adagio adagio fra tante ricchezze gettate alla rinfusa; su nel magazzino dovevano splendere e vivere, nelle vetrine, e far correre il danaro per le sezioni, viste e vendute nella furia del commercio ond’era invasa la casa.


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