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il paradiso delle signore

l’aveva ammessa quasi per carità? Almeno, si fosse trattato d’una di quelle splendide creature che sconvolgono quanti le vedono; ma era una ragazzuccia! Aveva, in fin dei conti, un di quei visi che non dicono nulla e passano inosservati.

Non doveva nemmeno aver molto ingegno: se ne rammentava di come aveva cominciato goffamente a stare al banco! Ma dopo ognuno di questi sfoghi tornava ad essere piú innamorato che mai, quasi sentisse un sacro terrore d’aver insultato il suo idolo.

Aveva tutto in sé, costei; aveva quanto c’è di buono nelle donne, il coraggio, l’allegria, la semplicità, e la sua dolcezza inebriante, quasi un profumo sottile. Non si poteva vederla e tenerle dietro come a una qualsiasi: quel suo incantesimo agiva presto, con una forza lenta, invincibile: bisognava appartenerle per sempre se degnava sorridere. Quando sorrideva, tutto nel volto delicato le si animava, gli occhi, il mento con la fossetta; e i folti capelli biondi pareva l’illuminassero anch’essi d’una bellezza regale e conquistatrice.

Dovette confessarsi vinto: era intelligente come bella: la sua intelligenza formava un tutto con l’animo di lei. Mentre le altre ragazze del magazzino non avevano che un’educazione acquistata a forza di strofinarsi alle signore, lei, senza false eleganze, conservava intera la sua grazia, mostrava l’origine schietta.

Le piú larghe idee del commercio le nascevano dalla pratica: da quella fronte stretta, con le sue linee pure, apparivano la volontà e l’amore dell’ordine. Ed egli si sarebbe messo a mani giunte, per chiederle perdono delle bestemmie che gli sfuggivano nell’ore di ribellione.


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