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il paradiso delle signore

le fare un dispetto a Dionisia. S’era finalmente accorta dell’amore del Colomban, e pensò di canzonare il Baudu. Intanto che Margherita temperava il lapis, aspettando gli avventori, essa le disse a voce alta:

— Sapete, quel mio innamorato di faccia... mi fa compassione in quella botteguccia nera, dove non entra mai nessuno.

— Non è poi tanto disgraziato, — rispose Margherita — deve sposare la figlia del padrone.

— To’! — riprese Clara — sarebbe bella portarglielo via!... Gli vado a far l’occhiolino, in parola d’onore.

E seguitò, tutta contenta di vedere che Dionisia ci soffriva. Dionisia le perdonava tutto; ma il pensiero della cugina Genoveffa, logorata da quella crudeltà, e che ne moriva, faceva sí che non potesse piú contenersi. Per l’appunto arrivava una cliente; e siccome la signora Aurelia era scesa nel sotterraneo, spettava a lei dirigere la sezione. Chiamò Clara:

— Signorina, fareste meglio a stare attenta alle clienti, invece di chiacchierare!

— Non chiacchieravo.

— Silenzio! E non perdete piú tempo!

Clara si rassegnò, domata. Quando Dionisia faceva cosí sul serio, non c’era bisogno che alzasse la voce, nessuno le resisteva. Con la sua stessa dolcezza si era acquistata piena autorità. Per un po’ passeggiò in silenzio tra le ragazze che non fiatavano. Margherita s’era rimessa a temperare il lapis, cui si spezzava sempre la mina; non c’era che lei che approvasse la vice del non aver ceduto al Mouret, scrollava il capo, non confessava mai d’aver avuto un bambino, ma ripeteva spesso che, se si sapessero le


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