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cento franchi, ed ora ne aveva tremilaseicento; neppure tanto da fumare dei sigari a modo. Un servizio sempre piú uggioso e piú grave; se non si ammazzava anche lui come tanti altri, era per evitarsi quello scomodo. Il Mouret gli domandò allora del suo matrimonio con la signorina De Boves, ed egli rispose che, sebbene quella be nedetta zia non volesse ancora morire, il matrimonio stava per esser conchiuso; almeno cosí credeva, perché i parenti s’erano già intesi, e lui era pronto a fare quel che gli avrebbero detto. Perché affaticarsi a volere o a non volere, una volta che nulla andava in modo conforme ai propri desideri? Citò come esempio il suo futuro suocero, che aveva creduto di trovare nella Guibal una bionda indolente, tanto divertircisi un’ora, ed era invece spinto innanzi, da lei, a frustate come un cavallo vecchio di cui giovi consumare le ultime forze. Mentre lo credevano occupato nella rassegna degli stalloni di San-Lò, lei lo rifiniva in una casuccia presa da lui in affitto a Versailles.

— È piú contento di te, però! — disse il Mouret alzandosi.

— Oh! lui, sicuro! confessò il Vallagnosc. — Forse forse non c’è che il male che sia un po’ divertente.

Il Mouret s’era ricomposto. Pensava ora ad andarsene; ma non voleva far la figura d’uno che scappa, e per questo rientrò nella sala, scherzando con l’amico, per prendere una tazza di tè. Il barone gli domandò se il mantello stava bene, alla fine; e lui, senza turbarsi, rispose che aveva smesso il pensiero di accomodarlo. Parve stanco; e mentre la Marty si affrettava a mescergli il tè, la De Boves cominciò ad accusare i grandi


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