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il paradiso delle signore


Enrichetta, sbalordita, strozzata dalla rabbia, li guardò.

— Aspettate, — soggiunse egli ripigliandolo da sé — a voi il mantello! La signora se ne un altro altrove... E non piangete piú, comprerà ve ne prego. Sapete quanta stima ho di voi.

L’accompagnò fino all’uscio, e lo richiuse subito. Lei non aveva detta una parola; soltanto una fiamma rosea le era salita alle gote, mentre gli occhi le s’inumidivano d’altre lacrime, dolcissime.

Enrichetta, che si sentiva soffocare, si premeva il fazzoletto sulle labbra. Cosí dunque aveva ottenuto l’opposto di ciò che voleva! era rimasta presa al tranello che aveva teso! E rimpiangeva d’avere spinto le cose a quel punto, torturata dalla gelosia. Abbandonata per una creatura come quella! Vedersi anche disprezzata davanti a lei! L’orgoglio soffriva piú che l’amore.

— Dunque, è proprio questa ragazza che voi amate? domandò dolorosamente, quando furono soli.

Il Mouret non rispose subito: passeggiava tra la finestra e l’uscio, come preso da una violenta commozione. Finalmente si fermò e garbatamente, con voce che tentava di serbare tranquilla, disse con semplicità:

— Sí.

La fiammella del gas seguitava a sibilare nell’aria pesante. I riflessi degli specchi non eran piú traversati dal moto delle ombre; la stanza pareva nuda nella sua tristezza grave. Enrichetta si lasciò andare su una seggiola, torcendo il fazzoletto tra le dita febbrili, e ripetendo fra i singhiozzi:

— Dio mio! come son disgraziata!


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