Pagina:Zola - Il paradiso delle signore - 1936 - Mondadori.pdf/443


il paradiso delle signore

stanza non si sentiva piú che quel soffio ardente. Gli specchi dell’armadio riflettevano larghe strisce di vivo chiarore sulle tende di seta rossa, dove ballavano le ombre delle due donne. Una boccetta d’acqua di verbena, rimasta stappata, esalava l’odor vago d’un mazzo che appassisca.

— Ecco, signora, tutto quel che ho potuto fare io — disse finalmente Dionisia alzandosi.

Non ne poteva piú: due volte s’era ficcata gli spilli nelle mani, come accecata, con gli occhi smarriti. Anche lui d’accordo? l’aveva fatta venire per vendicarsi dei suoi rifiuti, mostrandole che altre donne l’amavano? E questo pensiero le gelava il sangue: non si rammentava d’aver avuto mai bisogno di tanto coraggio, neppure nelle ore terribili della sua vita, quando le era mancato il pane. Non bastava sentirsi umiliata, bisognava veder lui quasi tra le braccia d’un’altra, come se lei non fosse stata lí.

Enrichetta si guardava allo specchio. Daccapo diè in parole scortesi:

— Credo che abbiate voglia di burlarmi! Sta peggio di prima. Guardate come mi torna davanti, paio una balia.

Dionisia non seppe piú rattenersi:

— La signora è un po’ grassa... Quando avremo fatto ben bene, non la potremo far dimagrare.

— Grassa! grassa! — ripeté Enrichetta che impallidí alla sua volta. — Siete anche insolente, signorina! ci vuole un bel coraggio, a farvi giudice voi, delle altre!

Tutt’e due, l’una in faccia all’altra, frementi, si guardavano. Non piú una signora e una ragazza di magazzino; due donne, rese uguali dal-


441