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il paradiso delle signore


— No, no, voglio questo; n’ho bisogno subito — riprese essa vivacemente. — Mi stringe qui al petto, e là dietro il collo mi fa una gobba.

Poi, con voce aspra:

— Stare a guardare, signorina, non è correggere un difetto!... Cercate e trovate qualche cosa. Sta a voi.

Dionisia, senza aprire bocca, ricominciò ad appuntare gli spilli. Fu un lavoro lungo: bisognava passare da una spalla all’altra: dové perfino abbassarsi un po’, e quasi inginocchiarsi, per tirar giú il davanti del mantello. La Desforges la lasciava fare conservando l’aspetto arcigno d’una padrona difficile a contentarsi. Felice d’umiliare la giovane a quell’ufficio di serva, le dava ordini brevi, spiando le menome contrazioni nervose sul viso del Mouret.

— Qui uno spillo. Eh! no, non costà, qui accanto alla manica. Non capite?... Cosí non va; non vedete che la tasca sta male daccapo? Attenta vi dico! ora mi bucate!

Due volte il Mouret cercò vanamente di metterci bocca per far cessare la scena. Il cuore gli sussultava in quella umiliazione del suo amore; e amava Dionisia anche piú, con una tenerezza commossa, dinanzi a quel coraggioso e dignitoso silenzio. Se le mani della giovinetta tremavano ancora un po’, trattata a quel modo in faccia a lui, ella sopportava i guai del mestiere con la fiera rassegnazione d’una ragazza piena d’animo. Quando la Desforges capí che non si sarebbero traditi, cercò un’altra via, e si mise a sorridere al Mouret, trattandolo manifestamente da amante.

Allora, perché gli spilli mancavano:

— Guardate, caro, — disse — guardate là


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