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il paradiso delle signore

per un momento il signor Mouret. Non mi pare di chieder troppo, se desidero qualche consiglio dopo che m’ha venduto un mantello orribile. E questa ragazza è una stupida che non ha un’idea nel capo!... Su! andiamo, vi aspetto!

Egli titubava, non osando avventurarsi alla scenata che prevedeva. Ma dovette obbedire.

E il barone, con la sua aria paterna insieme e canzonatrice:

— Andate, andate pure! La signora ha bisogno di voi.

Il Mouret la seguí. Entrò, e credé sentire il tiso stridente del Vallagnosc, attenuato dalle tende. D’altra parte non ne poteva piú. Da quando Enrichetta se n’era andata dalla sala, e sapeva che Dionisia era là, tra le mani della gelosa, sentiva un’ansietà crescente, un tormento nervoso che gli faceva tendere ogni poco l’orecchio, quasi trasalisse a un rumore lontano di pianto. Che poteva mai inventare quella donna per torturarla? E tutto l’amor suo, quell’amore ch’egli ancora non riusciva a capire, accorreva dov’era la giovinetta, come un aiuto, una consolazione. Non aveva mai amato in quel modo né provato mai quella voluttà del soffrire. Le sue affezioni d’uomo che ha sempre fretta, perfino Enrichetta, cosí elegante, cosí graziosa, e che lusingava il suo orgoglio, non erano state, in fondo, che divertimenti, o se mai desiderio d’unire all’utile il piacevole. Usciva di casa delle amanti e tornava nel suo quartiere di scapolo, senza mai un rimpianto né un pensiero, contento della libertà. Ora, invece, il cuore gli batteva dall’angoscia, la sua vita non era piú sua, nel suo letto, grande, solitario non trovava piú l’oblio del sonno. Anche in quel momento non pensava che a


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