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fidati. Bisogna svagarsi un po’; e la testa, dopo, è più fresca. Eppoi non dispiace rovinarsi quando ci si può rifare in quattr’e quattr’otto... Ma se il danaro non conta, ci sono però dei dolori...

Si fermò; il sorriso gli si fece triste; il ricordo di pene sofferte si mescolò all’ironia del suo scetticismo. Aveva osservato il duello tra Enrichetta ed il Mouret, da uomo curioso di vedere ancora combattersi negli altri le battaglie del cuore; e sentiva che la crisi era venuta: sapendo la storia di quella Dionisia che aveva visto nell’anticame ra, indovinava il dramma.

— Oh! soffrire poi, non è fra le mie consuetudini! — disse il Mouret, col tono della spacconata. — Mi basta di pagare.

Il barone lo guardò per qualche secondo in silenzio. Senza voler insistere nella sua discreta allusione, aggiunse lentamente:

— Non vi fate piú cattivo di quanto siete!.. Altro che il danaro! c’è il caso di lasciarvi la pelle, amico mio.

S’interruppe per domandare, ridendo daccapo:

— Non è vero, signor Vallagnosc, che accade qualche volta cosí?

— Dicono, signor barone! si contentò di rispondere l’altro.

Proprio in quel punto l’uscio della stanza s’aprí. Il Mouret, che stava per rispondere, sussultò leggermente. I tre signori si voltarono.

Era la Desforges, allegrissima in apparenza, che metteva fuori la testa, chiamando frettolosamente:

— Signor Mouret! signor Mouret!

Poi, quando vide gli altri due:

— Oh! permettete, signori, che vi porti via


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