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Doveva anche lei mettersi accanto a Dionisia a far somme, per sbrigarsi presto. Ma la matchesa, come la chiamava malignamente Clara, aveva, nel suo passare, messa sossopra la sezione: ridevano e canzonavano Giuseppe con parole feroci, che giungevano fin nell’altra stanza.

— State pure qui accanto a me; non mi date punto noia, — disse Dionisia, presa da compassione. — Venite qui; il calamaio basta per tutt’e due.

La Fontenailles, nella stupidità in cui il decadimento proprio e della famiglia la sprofondava, non trovò neppure una parola di gratitudine. Doveva avere il vizio del padre, quello di bere, perché le carni magre avevano un colore plumbeo; e soltanto le mani, bianche e delicate, attestavano ancora la nobiltà della stirpe. Ma le risate cessarono da un momento all’altro, e il lavoro riprese regolarmente.

Il Mouret faceva daccapo il giro delle sezioni. Si fermò e guardò dov’era Dionisia, meravigliato di non vederla lí: chiamò con un cenno la signora Aurelia, e si mise a discorrere con lei da parte, sommessamente. Si capiva che le domandava di Dionisia; l’altra accennò con un’occhiata la stanza dei campioni; poi parve gli raccontasse qualcosa. Certo gli diceva che la ragazza quella mattina aveva pianto.

— Benissimo!... — disse a voce alta il Mouret, ravvicinandosi. Fatemi vedere le liste.

— Son di là, — rispose la direttrice. — Siam dovute scappare, da questa confusione.

Le tenne dietro nella stanza accanto. Clara mangiò la foglia, e borbottò che avrebbero fatto meglio a mandare a prendere un letto addirittura; ma Margherita le gettò i vestiti con piú


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