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il paradiso delle signore

— Sicuro, sicuro! — ripeteva il Colomban ad ogni bercio del padrone.

— Ma tu sei l’ultimo, caro mio — concluse il Baudu commosso. — Eh, dopo te non ce ne sarà altri... Io non ho altra speranza che te, perché se chiamano commercio un fare agli spintoni in quel modo, allora io non ci capisco piú niente; è meglio uscirne una volta per sempre.

Genoveffa con la testa china su una spalla, come se i folti capelli neri le gravassero troppo la pallida fronte, guardava il commesso sorridendo, e nel suo sguardo si leggeva un sospetto, un desiderio di scorgere se il Colomban, preso da rimorso, arrossisse o no a sentire quelle lodi. Ma da uomo che le commedie del vecchio negozio le sapeva per filo e per segno, lui stava lí come se nulla fosse, con la sua aria bonacciona, e con le labbra chiuse per modo, che davano alla sua fisonomia un aspetto di singolare malizia.

Il Baudu seguitava intanto a vociare sempre piú forte, ed accusava quel continuo scarico di balle lí in faccia, quei selvaggi che si sgozzavano tra loro nella cosiddetta lotta per la vita, di arrivare perfino a distruggere la famiglia. Citava i loro vicini in campagna, i Lhomme, babbo, mamma e figlio, tutt’e tre impiegati in quella baracca; gente che non formava piú una famiglia, sempre fuori: non mangiavano in casa altro che la domenica: una vita, insomma, da tavola rotonda, da albergo. Sicuro, il suo salotto da pranzo non era grande; la luce e l’aria non v’abbondavano: ma almeno la sua vita era attaccata lí, dov’egli aveva vissuto nell’amore dei suoi. E mentre parlava, facendo con gli occhi il giro della stanza, gli venivano i sudori a questo pensiero, che non osava confessare: quei selvag-


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