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tavola, e i garzoni offriron le pesche portandole attorno in canestri.

Quando il Mignot aggiunse: «Ognuno ha i suoi gusti; al Deloche le pesche piacciono col vino!» poco mancò non schiantassero tutti dalle risate.

Il Deloche restava immobile. Con la testa bassa, quasi sordo, pareva non sentisse che lo canzonavano, e si rammaricò in cuor suo di essersi lasciato andare a quel modo. Avevano ragione loro: perché la difendeva? Chi sa che cosa avrebbero creduto di lei. E si sarebbe dato dei pugni da sé, per averla cosí compromessa mentre la voleva provare innocente. A lui andavano tutte a quel modo; sarebbe stato meglio che fosse crepato lí su due piedi, se non poteva nemmeno cedere al suo cuore senza fare una sciocchezza. Gli salivano le lacrime agli occhi. Non era anche colpa sua, se tutti sapevano della lettera del Mouret? Li sentiva ciarlare e sghignazzare su quell’invito che il solo Liénard aveva saputo; e se n’accusava pensando che non avrebbe dovuto lasciar Paolina discorrere davanti a lui.

— Perché avete raccontato tutto? — gli mormorò alla fine, con voce che mostrava il suo dispiacere. Avete fatto male, malissimo!

— Io? — rispose il Liénard. — Ma se io non l’ho detto che a due o tre, facendomi giurare che avrebbero serbato il segreto... Chi lo sa come le cose facciano a spargersi subito cosí?

Quando il Deloche si risolse a bere un bicchier d’acqua, fu un’altra risata.

Al gran banco di mezzo erano stati chiesti pochissimi supplementi, tanto piú che quel giorno l’amministrazione distribuiva il caffè gratis. Le tazze fumavano, le fronti sudate luccicavano


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